
Magdalo Mussio, scriba di spazi, di scenoscrittura commossa, di sabba alfabeta, di dissoluzione e frantumo, di referenze e di scatti redivivi, come misura verbale minimo-massima, da diaristica a ricognitiva: scrittura eversata(-iva) di ricambio e di automatismi frenetici, di insorgenze respirose, di ascesa e discesa in mysterium nero, sfilacciato e lacerato in bianco, di cattura, di preda scabra, ispida di screzi e scoppi, per scendere alla fonte medesima della psiche melancholica, a rifiuto del mondo usuale: in rincorsa di chiarità cieca, in condizione di smarrimento, di smarrito senso nel cuore della solitudine subordinata: e “scrivere”, “tracciare” neanche fare, neanche vedere, per proprio riscuotere della vita superflua quel poco di chiarore ch’essa può pagare, scandendola con le vibrate snodature e raggiri del polso, per ridurre le pratiche della scrittura comune, definendola in cellule carnali.
Emilio Villa
La scrittura, invece, di Magdalo, stende lo spettacolo “bianco” di un modulato, sensibilissimo sfacelo, molto vicino ai rumori e toni e timbri dell’essere, quasi a misurare, in schermi densissimi, folti come canneti assiepati a dirotto, i segni diacritici, spezzati convulsi, di revanches (rêvanche) et dévanches: la tenerissima, stravolta, limbale sregolatezza, le impunture graduate, le sconnesse impugnature dei frammenti scatenati e contratti: orgiastica auscultazione da usus del mondo, da abreso di atlanti segreti del polso, dell’impulso, di enigmi tracheali, a corona di sentieri e divagazioni, come vene sulle tempie, e impuntature graduate o sconnesse, casuali o librate (equilibrate, delibrate): e, in clausola, una corsiva dolorosa aberrante ricognizione del dettato mondano (scritture schiacciate, obliterate, trans-segnate), della sorte inattesa e confusa ai margini ma sorpresa al nucleo della promessa, ricca di minimi supplizi e embrione di immaginazione operante, sommersa e prensile, quasi musica penetrale: l’immaginario radicale (radictus) come nucleo e porzione della rete dell’esistente, esperita in ebrietà di preannunci, di spunti, di intacche, di laceri brevi, senza prosecuzioni: graticci uncinati, vessati, aizzati, in incrinature e sbrinature di candori lucidi, luccicanti, in sparizioni e pentimenti in parvenze ed effetti, brevi eremi contratti, torsioni, visioni stellanti e randage della sovrana universa eclissi, l’antifona stillante-stellante impensata, passiva, subita come una “corona di spini”, sostanzialmente medesima in procedimento e in reinvenzione di segnale e di punteggio, di simmetria provocata, in nicchie disegnate, nidi e grumi di macule, di schizzi, di scavi, appunti di brevi nascondigli del biancore fino alla emanazione scritturata dei pallori della cera, della morte, del colloide. Per parabola e anabola di screpoli, crepe, in versione di motivi e chiamate di affinità: svolta e ricreata nella sfera piu alta, esterna al principio statico della scrittura comune, storica, o della significanza, o della brutale sciocchezza della ”comunicazione”. Ma poesia come inimitabile scia di esistenza vitale, di ictus irresistibile, continuo: Magdalo, turbato dall’horror della scrittura, fonda e coincide con una nuova poesia.
su MAGDALO MUSSIO
da: Le parole rampanti n°0, La scena poetica di Magdalo Mussio, Roma 1984